Temi trattati

Basi di fluidodinamica

I fluidi e le loro caratteristiche

Numero di Reynolds

Equazione di continuità

Teorema di Bernoulli

Venturimetro

Il tubo di Pitot

Come funzionano le ali

Profili alari

Influenza dell'allungamento alare

Sistemi di ipersostentazione

Effetto suolo

Perchè non ci sono più sorpassi in F1?

L'aerodinamica di una monoposto

Muso alto o muso basso?

Il cx delle moderne Formula1

Le sospensioni della Arrows A21

Ali che si flettono

Termini tecnici

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Basi di fluidodinamica

L'aerodinamica è un caso particolare della fluidodinamica, che è lo studio della dinamica, del movimento dei fluidi in generale. Il moto di un corpo in un fluido, quando è abbastanza lento, risulta "laminare", il fluido si sposta cioè come se fosse costituito da tante lamine sottili che sono capaci di scorrere l'una sull'altra. Quando il moto del corpo nel fluido è troppo veloce assume la definizione di "turbolento" in quanto si formano in modo caotico tanti piccoli vortici e le velocità differiscono notevolmente anche per punti molto vicini, cambiando rapidamente nel tempo. Una opportuna forma dell'oggetto può favorire il moto laminare: la forma a goccia. Il moto laminare è infatti quello che garantisce la minor resistenza all'avanzamento sulla quale si adatta quindi in natura la forma di un liquido che debba muoversi all’interno di una vena fluida.

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Moto turbolento e moto laminare 

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Il profilo a goccia offre una resistenza 7 volte inferiore alla sfera

 

I fluidi e le loro caratteristiche

Un fluido è un corpo materiale che, a causa della mobilità delle particelle che lo compongono, può subire delle grandi variazioni di forma sotto l'azione di forze di minima entità, che tendono a divenire trascurabili quando la velocità con cui avviene la deformazione tende ad annullarsi. In particolare un fluido in quiete non oppone alcuna resistenza ai cambiamenti di forma. Le deformazioni di un fluido sono permanenti, esse cioè non scompaiono dopo che sono state annullate le forze che le hanno provocate. I fluidi si possono schematicamente distinguere in due grandi classi: liquidi e gas. Precisamente si dicono liquidi quei fluidi oppongono grande resistenza alle variazioni di volume; mentre i gas hanno invece un comportamento opposto: sono sufficienti forze di modesta entità per variarne in circostanze normali il volume. Immediata conseguenza è il fatto che un gas occupa tutto lo spazio entro cui esso si trova, in sintesi i liquidi sono poco comprimibili, mentre i gas lo sono piuttosto facilmente. Nello studio dell'aerodinamica del veicolo il fluido in questione è aria, ovvero un gas, e le sue proprietà complicano leggermente le trattazioni.

Densità

Si indica generalmente con la lettera "r" ed è la caratteristica che misura la massa per unità di volume; la sua unità di misura nel sistema internazionale è: kg/m^3

Peso specifico

Lo indicheremo con la lettera "g", esso fornisce il peso dell'unità di volume ed è misurato in N/m^3. Fra le due grandezze esiste la relazione g = r g essendo ‘g’ il modulo dell'accelerazione di gravità per il quale può assumersi come valore 9.81m/s2. La densità ed il peso specifico di un fluido sono funzione sia della pressione ‘p’ che della temperatura ‘t’: r=r(p,t). La relazione che esprime questo legame viene detta comunemente equazione caratteristica o equazione di stato di un fluido.

Comprimibilità

Qualsiasi fluido modifica il suo volume (e quindi la sua densità) al variare della pressione alla quale è soggetto. Questo fenomeno assume aspetti differenti a seconda che il fluido sia un liquido oppure un gas. In questo caso si considera solamente il caso di un gas. L'equazione di stato dei gas a cui si fa riferimento è quella ben nota, come equazione di stato dei gas perfetti:

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dove p è la pressione assoluta, T la temperatura assoluta ed R è la costante dei gas perfetti , il cui valore, nel sistema è dato dalla relazione:

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essendo m il peso molecolare del gas considerato.

Viscosità

Qualsiasi fluido in movimento è sempre sede di uno stato di sforzi interni, che ammettono componenti sia normali che tangenziali; queste ultime si manifestano esclusivamente durante l'atto di moto, esaurendosi completamente non appena questo termina. Le componenti tangenziali degli sforzi tendono nel loro complesso ad opposi al movimento della massa fluida, hanno intensità che dipendono sia dalla rapidità con cui interviene la deformazione, sia da particolari proprietà fisiche del fluido in moto. Lo sforzo tangenziale risulta proporzionale a:

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In cui m è la viscosità (o attrito interno) del fluido: si tratta di una proprietà fisica del fluido che ne caratterizza il comportamento nei confronti delle resistenze che si oppongono al moto. Il termine ‘v’ è la velocità, ed ‘h’ è una distanza. Per la maggior parte della applicazioni che interessano le problematiche idrauliche ed aerodinamiche, la viscosità m presenta un valore praticamente costante per date condizioni di temperatura, cioè più precisamente, indipendente dalle sforzi sia tangenziali che normali. I fluidi per i quali sui verifica questa proprietà vengono detti newntoniani, per cui risultano newtoniani tutti i gas e quasi tutti i liquidi omogenei non macromolecolari. E' bene introdurre anche un'altra grandezza direttamente legata alla viscosità: essa viene chiamata viscosità cinematica n ed è pari al rapporto fra viscosità m e la densità r:

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Numero di Reynolds

L'osservazione dei caratteri di numerosi processi di movimento di fluidi ha messo in evidenza l'esistenza di due diversi regimi di movimento, riconosciuti per la prima volta da O. Reynolds nel 1883 a mezzo di una serie di classiche esperienze. Un fluido con delle piccole velocità, in regime di moto laminare, si può descrivere in modo che tutte le particelle dei filetti fluidi passino per uno stesso punto percorrendo quindi una medesima traiettoria senza subire alcun mescolamento con il fluido circostante. Il moto del fluido in questo caso avviene ordinatamente per filetti paralleli senza che intervengano scambi di massa fra un filetto è l'altro. Una caratteristica del moto laminare è la sua stabilità nei confronti delle perturbazioni; se infatti venisse accidentalmente introdotta una perturbazione in un punto del campo di moto, essa si attenua e scompare immediatamente a valle di questo punto. Aumentando la velocità del fluido, il fluido passa in un regime di transizione per poi finire in regime di moto molto instabile. Questo è dovuto alla nascita, in seno alla massa fluida, di irregolari fluttuazioni della velocità delle singole particelle alle quali corrisponde un continuo scambio di massa da zona a zona del campo di moto. Si possono quindi immaginare due moti sovrapposti, uno di trasporto che determina lo spostamento d'insieme della massa fluida; l'altro che viene chiamato ‘di agitazione’ e che comporta una irregolare oscillazione dei caratteri del moto intorno ai valori medi di trasporto. Il regime di moto così caratterizzato è denominato turbolento ed è quello che si verifica nella maggior parte dei casi di interesse tecnico. Definiamo numero di Reynolds Re il numero adimensionale ottenuto dall’espressione:

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in cui r è la densità del fluido, m rappresenta la viscosità, D dipende dalla sezione del condotto e V è la velocità. Si può considerare questo numero come un indice del grado di turbolenza cui è soggetto il fluido: si ottiene un moto viscoso per valori relativamente piccoli, il moto turbolento per valori molto elevati, mentre per valori intermedi ci troviamo nella zona di transizione.

 

Equazione di continuità

In una tubazione un fluido si muove in regime permanente quando in una sezione generica della condotta le sue caratteristiche non variano nel tempo, pur differendo da punto in punto della sezione. Si può definire in questo modo una portata in massa ‘G’ come la massa che attraversa una determinata sezione, normale all'asse geometrico della condotta, nell'unità di tempo.

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La portata massica ‘G’ risulterà quindi in kg/s, esprimendo: l'area della sezione A in m^2, la velocità del fluido V in m/s e la densità del fluido r in kg/m^3. Ricordando come la densità di una fluido sia pari all'inverso del suo volume specifico:

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se consideriamo un aeriforme in moto permanente entro una tubazione generica, scelte ad arbitrio due sezioni 1 e 2, potremo scrivere l'equazione di continuità riferita alla portata in massa come:

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oppure nella forma:

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Teorema di Bernoulli

Consideriamo un fluido comprimibile in moto permanente entro una tubazione ed applichiamo il principio di conservazione dell'energia fra le due sezioni 1 e 2 scelte ad arbitrio, considerando anche l'eventualità che nel tratto compreso fra le due sezioni venga scambiata con l'esterno una certa quantità di calore "Q". In queste ipotesi la massa unitaria di fluido che attraversa la sezione 1 possiede le seguenti energie parziali: energia potenziale di posizione gz1; energia potenziale di pressione p1v1; energia cinetica V1^2/2; energia interna U1, che trasformata in unità compatibile si può scrivere come U1/A. L'energia totale nella sezione 1 sarà quindi:

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Per il principio della conservazione dell'energia possiamo quindi affermare che nelle sezione 2 l'energia totale dovrà rimanere invariata:

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Questa uguaglianza esprime il teorema di Bernoulli applicato ad un fluido comprimibile e può anche essere riscritta nella forma:

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Venturimetro

a56Il venturimetro è un apparecchio di forma conico convergente-divergente che viene innestato nelle condotte mediante flange bullonate. Nell'attraversamento della sezione ristretta il fluido subisce una variazione di pressione e di velocità, tanto più sentita quanto più sono ridotte le dimensioni della sezione di passaggio. Studiare il suo funzionamento è molto importante per capire il funzionamento dell'effetto venturi, e quindi dell'effetto suolo, nelle moderne formula uno. Indichiamo con p1 e v1 i valori della pressione e della velocità nella sezione 1 posta all'imbocco dell'apparecchio e con p2 e v2 il valore della pressione e della velocità nella sezione 2 coincidente con la sezione minima. In seguito alla riduzione della sezione ed in virtù dell’equazione di continuità la velocità aumenta (v2 > v1) e la pressione diminuisce (p2 < p1). Trascurando le perdite di carico ed applicando il teorema di Bernoulli al breve tratto compreso fra le 2 sezioni si verifica come:

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Ipotizziamo che l'apparecchio sia disposto con asse orizzontale si verifica come z1=z2 in modo che la forma dell’equazione diventi:

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Nella sezione 2, nella quale l'area di passaggio del fluido è più piccola che nella sezione 1, la velocità V2 risulterà maggiore di V1 in modo che la portata rimanga costante. Sulla base del teorema di Bernoulli se nella sezione 2 la velocità aumenta, al fine di mantenere costante l'energia totale nelle due sezioni, è necessario che la pressione p2 diminuisca: ovvero si crei una depressione.

 

Il tubo di Pitot

a59Il tubo di Pitot deriva il proprio nome dal suo scopritore, Henri Pitot, uno scienziato francese del XVIII secolo. Grazie alla sua invenzione è possibile misurare la velocità dell'aria (ossia della vena fluida) con estrema precisione. Si tratta di un parametro fondamentale che risulta utilissimo per la correlazione di tutti gli altri elementi necessari al controllo dell'effetto suolo di una monoposto (come ad esempio il momento di beccheggio). Come suggerisce il nome stesso è necessario un tubo che raccolga la pressione dell'aria durante il moto del veicolo mediante una presa dinamica posta all'ingresso del tubo stesso, dove si misura appunto sia la pressione dinamica (o d'impatto) dell'aria sia la pressione statica. La pressione totale, risulta infatti data dalla somma tra la pressione statica e quella dinamica. Il tubo di Pitot è ovviamente da orientare nel senso del moto del veicolo ed è collegato ad un manometro differenziale per calcolare appunto la differenza tra le pressioni dinamica e statica. Nel tubo sono realizzati infatti anche dei fori periferici, che rappresentano le prese statiche, parallelamente al senso della velocità in modo da non essere influenzate dalla pressione dinamica, ma solo da quella della corrente disturbata. Nel manometro si viene a creare così un dislivello e questo fornisce la differenza di pressione proporzionale alla velocità della vena fluida in modo da ricavare il valore della velocità dell’automobile. Il tubo di Pitot, che viene applicato alle monoposto di formula uno non solo in fase di test, ma anche nelle configurazioni da qualifica ed in gara, permette di avere una serie di riscontri costanti. Le informazioni fornite dal sistema vengono infatti raccolte dalla centralina che elabora i dati e li trasmette, ad ogni passaggio davanti ai box, all'impianto telemetrico.

 

Come funzionano le ali

a60Il principio di funzionamento delle ali può essere ricondotto al teorema di Bernoulli per la fluidodinamica, secondo il quale (per il moto laminare) lungo un alinea di flusso la pressione è inversamente proporzionale al quadrato della velocità. Nella figura in basso sono indicati due profili, uno curvilineo ed uno piano. Facendo scorrere un fluido su queste superfici si nota come  la linea di fluido che scorre sul profilo superiore debba percorrere più strada, nello stesso tempo, rispetto al profilo inferiore. L'aria è quindi più veloce sopra l'ala ed in questo punto risulta  minore la pressione dell'aria. Questa differenza di pressione fa sì che l'ala subisca una spinta verso l'alto detta PORTANZA (freccia verticale) mentre la freccia orizzontale indica la resistenza al mezzo. Rovesciando il profilo (come si realizza in F1)  si ottiene DEPORTANZA. Inclinando il profilo aumenta la depressione ed aumenta di conseguenza la deportanza, ma aumenta anche il freno dell'aria (la sezione frontale è maggiore).

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Inizialmente questo "inconveniente" venne superato con lo stratagemma delle ali mobili, ma nella F1 moderna, in tempi di ali fisse, è fondamentale trovare il miglior compromesso fra carico deportante e resistenza dell'aria. Dato che le ali servono fondamentalmente in curva, saranno i circuiti più tortuosi a richiedere un maggior carico alare, sacrificando la velocità massima in rettilineo, mentre nei circuiti con i rettifili più lunghi saranno utilizzate ali quasi orizzontali.

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Configurazioni alari della F399 rispettivamente a Monte Carlo e a Monza.

 

Profili alari

a69Un profilo alare, fissato in un punto generico "O" alla struttura di supporto, ed investito con un certo angolo d'incidenza a da un vento asintotico "VO", trasmette alla struttura: una forza di portanza P, applicata in O, ed avente direzione perpendicolare a quella del vento asintotico; una forza di resistenza R, applicata in O, ed avente direzione parallela a quella del vento asintotico; portanza e resistenza si compongono nella forza aerodinamica totale A; un momento puro M, che tende a far ruotare il profilo attorno al punto O. Definiamo la portanza come positiva se è diretta dal ventre del profilo (ovvero l'intradosso) verso il dorso del profilo (ovvero l'estradosso). La resistenza è positiva se diretta nello stesso verso del vento asintotico. Il momento è positivo se cabrante, cioè se tende al alzare il bordo di ingresso ed abbassare il bordo di uscita. Le grandezze citate si possono calcolare utilizzando le formule:

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Dove: "r" rappresenta la densità dell'aria; "S" è la superficie in pianta dell'ala; "C" è la lunghezza della corda alare; "CZ" è il coefficiente di Portanza; "CX" è il coefficiente di Resistenza; "CM" è il coefficiente del Momento (rispetto ad O). Si definisce quindi efficienza di un profilo il rapporto fra portanza e resistenza:

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Dato un profilo, ovvero le sue caratteristiche geometriche, e definite le condizioni ambientali è possibile distinguere due serie di dati: i costanti (ovvero r, S, C, VO) e grandezze che risultano variabili (come CX, CZ, CM). Considerando il profilo alare isolato in flusso subsonico, i tre coefficienti variabili si modificano sulla base dei parametri:

Angolo d'incidenza

Numero di Reynolds a cui opera il profilo (ovvero l'influenza dei fenomeni di viscosità dell'aria)

Rugosità relativa della superficie

Allungamento alare dell'ala (se ci si riferisce ad un'ala reale anziché un profilo isolato ad allungamento infinito)

Nella posizione in cui il profilo assume il massimo valore di Cx, lontano dalla  situazione di "stallo", l'influenza del numero di Reynolds è abbastanza modesta. Nelle condizioni di stallo è invece molto importante in quanto sull'ala si verificano dei fenomeni di distacco della vena del flusso. I bassi numeri di Reynolds sono peggiorativi per le prestazioni di un profilo ed anche la rugosità della superficie dell'ala influenza negativamente le prestazioni del profilo. L'influenza di quest’ultimo parametro è comunque modesta, sebbene nel campo aerodinamico esistano molti paradossi che riguardano appunto le qualità superficiali dei corpi (es. pallina da golf). L'influenza dell'incidenza è decisamente importante, è infatti in base al valore dell'incidenza che variano principalmente i valori di CX, CZ, CM. Tecnicamente l'angolo completo per l'incidenza può variare tra -180° e +180°, anche se usualmente si utilizza solo il campo delle incidenze cosiddette positive. Le incidenze positive sono quelle comprese fra l'incidenza nulla e quella di massimo CX (posizione di stallo), posizione in cui il profilo si trova nelle condizioni di massima efficienza. Qualitativamente un CZ positivo si trova nel campo di incidenze positive, mente un valore negativo deriva da un campo di incidenze negative. I valore di CM sono invece positivi nel campo delle incidenze negative e viceversa. Il CX è quindi sempre positivo il profilo: in qualsiasi condizioni il profilo si trovi esso dissipa infatti energia. La condizione di minimo CX si verifica intorno all'incidenza nulla ed esiste un punto, posto ad una distanza pari a circa il 25% della corda alare dal bordo d'ingresso, in cui il coefficiente CM è praticamente costante anche al variare dell'incidenza. Questo punto viene detto fuoco del profilo alare e ad esso corrisponde un valore di momento detto di momento focale ed indicato con CMFo. E' utile utilizzare come punto d'attacco dell'ala questo punto, s ne potrà infatti modificare l'incidenza mantenendo il momento aerodinamico pressoché costante.

 

Influenza dell’allungamento alare

Si definisce l'allungamento alare come:

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In cui ‘L’ rappresenta l'apertura alare ed ‘S’ la superficie in pianta dell'ala. La portanza dell'ala è infatti legata ai fenomeni che stabiliscono sulla sua superficie inferiore (intradosso) pressioni maggiori rispetto alla superficie superiore (estradosso). In una superficie infinitamente lunga queste pressioni avrebbero una distribuzione uniforme, cosa che non accade per via della lunghezza finita dell’ala. Il fluido tende quindi a fuggire dalla superficie inferiore (in sovrapressione) verso quella superficie superiore (in depressione), assumendo la forma di flussi trasversali all'uscita dell'ala. Si creano quindi delle zone di alta vorticosità locale. Nel centro di questi vortici, a causa del forte campo centrifugo dell'aria circolante, esiste una depressione ed una bassa temperatura. In caso di tempo molto umido si crea in questo punto una condensa (guardano una gara automobilistica è anche facile notarla) che lascia una specie di scia. La presenza di questa superficie vorticosa crea dei punti di discontinuità sull'ala e provoca una deflessione del flusso dl fluido verso il basso, dovuto alle velocità indotte in vicinanza dell'ala che si vanno a sommare vettorialmente alla velocità "VO" del vento asintotico, originando in questo modo una velocità risultante inclinata verso il basso di un certo angolo "ai". L'angolo d'incidenza risulta legato a:

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Queste formule sono molto utili per il calcolo di un profilo in quanto permettono di determinare le caratteristiche di un'ala, dato l’allungamento, partendo dalle caratteristiche di un ala ad allungamento infinito. I fenomeni di allungamento infinito sono però molto dannosi perché riducono l'efficienza dell'ala, si cerca allora di minimizzarli montando della paratie d'estremità poste ai lati degli alettoni delle vetture da competizione.

 

Sistemi di ipersostentazione

Esistono situazioni in cui è richiesta la massimizzazione della portanza alare anche a scapito dell'efficienza, come il caso degli aerei in decollo ed atterraggio, mentre nelle autovetture da competizione si ricerca proprio il fenomeno opposto: la deportanza. In curva, almeno finché queste non siano così ampie da richiedere l'impiego della massima potenza del motore, il problema dell'efficienza non esiste, mentre esiste un grosso problema di aderenza. Le vetture da competizione, per motivi di accelerazione e distribuzione dei pesi, sono oggi alleggerite al limite del regolamento ed in questo caso è desiderabile massimizzare l'aderenza utilizzando quindi solo gli elementi aerodinamici, anche se questo naturalmente si paga in termini di velocità di punta. Oggigiorno, al fine di ottenere maggiore deportanza sulle superfici aerodinamiche si utilizzano vari sistemi che in buona sostanza tendono a controllare lo strato limite del fluido. In campo automobilistico i più importanti sono:

Ala a fenditura

La sovrapressione di intradosso e la depressione di estradosso generano, attraverso le fenditure, veloci getti che energizzano lo strato limite dell'estradosso, allontanando il distacco. Si possono così ottenere CZ dell'ordine di 2.5, e anche più.

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Ala a flap multipli
E' una derivazione e perfezionamento del flap Fowler, che inizialmente era singolo. Si possono superare valori CZ dell'ordine 3
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Schiera dei profili
Il principio è ampiamente applicato sulle vetture da competizione: alettoni "biplani", triplani ecc. ciascuna ala può essere a sua volta del tipo a fenditura oppure a flap multipli.
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Aletta Nolder
Si tratta di un a breve e sottile bandella, posta al bordo di uscita in posizione circa perpendicolare al flusso. E' un piccolo flap posto alla sua massima inclinazione. Permette di ottenere sensibili incrementi di CZ quando le ali hanno dimensioni limitate.

 

L'effetto suolo

a83L'effetto suolo consiste in una modificazione del campo aerodinamico attorno al corpo, quando esso si muove in vicinanza del suolo, e nella corrispondente variazione delle forze aerodinamiche ad esso applicate. Nelle autovetture da corsa risulta necessario creare deportanza (ovvero avere il massimo grip sfruttando l'aerodinamica), anche se non bisogna dimenticare che la natura intrinseca dell'effetto suolo è quello di creare portanza, e solo per mezzo di forme opportune è possibile invertirne il funzionamento. Un corpo simmetrico che si muove nell'aria ad una certa distanza dal suolo ha tutt'intorno un flusso simmetrico, non esiste quindi portanza ma solo resistenza. Avvicinando questo corpo al suolo il campo aerodinamico non è più perfettamente simmetrico: una  frazione via via maggiore passa al di sopra con una maggiore velocità (quindi minore pressione) mentre una frazione minore passa al di sotto, con minore velocità (e maggiore pressione). Ne consegue l'insorgere di una forza, detta portanza, che è legata all’esistenza di una differenza di pressione nel corpo. Generalmente l'insorgere di questa forza è accompagnata ad un incremento di resistenza R, legata principalmente alle distorsioni del flusso. Una certa riduzione di questa maggiore resistenza si può concettualmente ottenere dissimetrizzando il corpo nello stesso senso in cui si e dissimetrizzato il campo aerodinamico e cioè inarcando la sua linea media, in modo da riportare i punti di arresto a coincidere con i bordi di ingresso e di uscita. Per ottenere dall'effetto suolo una deportanza occorre in sostanza modificare le forme in modo che sotto alla vettura passi un flusso d'aria con una velocità maggiore di quello che passa sopra la vettura, per ottenere questo si sfruttano infatti le proprietà del tubo venturi. Questo specifico sistema a tubo venturi è attraversato da una portata definita dalla sezione di uscita che viene percorsa da una velocità V2 circa uguale alla velocità asintotica VO. E’ chiaro che la sezione d'ingresso, risultando minore di quella di uscita, sarà attraversata da una velocità V1 maggiore di VO, e quindi in essa regnerà una pressione minore di quella esterna.

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Un effetto moltiplicatore della depressione si ottiene facendo sboccare la sezione di uscita del venturi nella sezione ristretta di un secondo venturi più grande, cioè in una sezione a sua volta in depressione. E' grosso modo la funzione che in formula1 svolge l'alettone posteriore rispetto al profilo estrattore: quest'ultimo sbocca infatti proprio nella strozza di un secondo (cortissimo) Venturi rappresentato appunto dall'alettone e dalle sue paratie. L'alettone, oltre a svolgere la sua funzione di ala deportante, permette quindi di realizzare le condizioni al contorno in depressione necessarie al profilo estrattore. L'efficienza del doppio venturi è maggiore tanto più il secondo venturi è grande rispetto al primo, in quanto il primo venturi costituisce un disturbo per l'aerodinamica del secondo. Come si osserva, anche considerando l'alettone come un venturi anziché come un'ala, si arriva comunque a concludere che ogni riduzione delle sue dimensioni e/o altezza da terra (distanza dal corpo vettura) tende a ridurre l'efficienza del sistema. In una vettura da formula uno si può osservare come:

Il muso sia rialzato per avere una corretta collocazione del punto di arresto e per permettere l'evacuazione dello strato limite.

Lo strato limite formato sotto alla parte anteriore del corpo vettura viene catturato dalla scanalatura ed evacuato sui lati, escludendolo da venturi.

A partire dal punto d'ingresso del venturi si sviluppa il fondo piatto regolamentare percorso dal flusso alla massima velocità V1 con la corrispondente depressione.

All'interno del diffusore (estrattore) del venturi si verifica un rallentamento della velocità ed il recupero della pressione, che tuttavia non risale fino al valore ambiente bensì ad un valore inferiore in quanto il diffusore sbocca in un zona in depressione, generata sia dalla scia che dall'effetto venturi dell'alettone. Dal punto d'ingresso del venturi fino all'uscita si realizza quindi la depressione.

Grande importanza in questo contesto assume allora il mantenimento della depressione, per mezzo del contenimento dei flussi laterali che, dall'esterno, tendono ad entrare sotto la vettura richiamati dalla depressione che è instaurata. Durante gli ultimi anni queste tecniche di contenimento, in base alla variazione dei regolamenti, hanno avuto delle evoluzioni che hanno determinato anche cambiamenti radicali delle monoposto.

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Inizialmente non ci fu nessun controllo delle depressioni ne dei flussi laterali (siamo nell'epoca della pre-deportanza) i flussi nel sottoscocca non hanno nessun tipo di incanalamento ma sono liberi di muoversi.

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La scoperta della deportanza condusse in tempi molto rapidi verso il suo sfruttamento più esasperato, rappresentato dalle "minigonne" ovvero bandelle laterali scorrevoli verticalmente fino a terra, capaci di contenere con una barriera fisica i flussi laterali. L'altezza da terra del fondo era di circa 6- 7 cm.

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Con l'abolizione delle minigonne e con l'estensione del fondo piatto, fu necessario riconquistare la deportanza persa, riducendo drasticamente l'altezza da terra: l'unico ripiego inizialmente escogitato per ridurre i flussi laterali (ridurre la loro sezione di passaggio).

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Oltre alla sezione di passaggio si lavorò sui coefficienti di efflusso ad essa associati: spigoli vivi (e non arrotondati), "labbri borda" ed infine con l'esempio sfortunato della Ferrari F92A, unico esempio della creazione di una minigonna aerodinamica (sfortunato perché dava in galleria del vento ottimi valori di deportanza, ma sulla pista incontrava dei problemi, dovuti alla variazione d'altezza).

Oggigiorno è stato introdotto un fondo scalinato, con l'unico compito di limitare la superficie di fondo piatto e di aumentare l'altezza da terra, anche se non mancano esempi di fondi piatti (come quello Mclaren) in cui si riesce a recuperare la deportanza persa con uno studio attento dei flussi d’aria ed adottando un fondo piatto che assomiglia alla chiglia di una barca. Rimane da considerare che tenere le vetture molto basse comporta la creazione di un effetto pompante della strada, che può essere considerata come una parete mobile, che nel moto relativo si muove ad una velocità uguale alla velocità di corsa. In queste condizioni è necessario studiare attentamente anche l’effetto di deportanza generato dal corpo stesso della vettura, il cui contributo totale ovviamente varia a seconda della sua stessa configurazione.

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Anche le auto con fondo piatto non sono tuttavia esenti da rischi di "decolli"…


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Monza '93
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Le Mans '99

    

Perché non ci sono più sorpassi in F1?

a103E' la domanda-tormentone che si fa ogni appassionato di questo sport quando si ritrova a dover assistere ad un Gran Premio nel quale solo qualche fumata ogni tanto rompe la monotonia di un trenino di vetture che si rincorrono senza la possibilità (o la volontà?) di sorpassi da parte dei piloti. In realtà il problema è decisamente vecchio e si può ricondurre alla nascita delle ali, che incrementano la velocità di percorrenza delle curve da parte delle vetture, ma risentono molto della turbolenza di un'eventuale vettura che precede. La turbolenza generata dalla vettura davanti fa infatti perdere carico sull'ala anteriore della propria vettura, aumentando il sottosterzo in curva, ovvero, la macchina, a parità di velocità rispetto alla macchina davanti, non riesce a mantenersi in traiettoria, tendendo ad allargare con l'anteriore. Di questo fatto si lamentavano già i piloti degli anni '70 e 80. Verrebbe allora da chiedersi perché proprio in quegli anni sono state scritte le pagine più belle della Formula 1,con gli epici duelli a suon di sorpassi di Gilles Villeneuve, Arnoux, Senna, Piquet, Alboreto, Mansell, Prost, ecc. In effetti si potrebbe arrivare alla conclusione che quei piloti erano fatti di un'altra pasta, ma in difesa dei piloti odierni, si può obiettare che le monoposto moderne sono molto più spinte, delicate, sono vetture "estreme", difficili da guidare e con le quali è difficile far risaltare le doti di ogni singolo pilota. La FIA poi, ci ha messo del suo prendendo dei provvedimenti, come la riduzione delle carreggiate e l'introduzione delle gomme scanalate, che di certo se hanno migliorato la situazione dal punto di vista della sicurezza, non hanno certo facilitato il lavoro dei piloti, aumentando l'instabilità delle vetture. I rifornimenti in gara costituiscono inoltre un ulteriore deterrente contro il tentativo di sorpasso, visto che qualche posizione si può sempre sperare di guadagnarla al pit stop. In realtà l'unica via possibile per tornare a vedere sorpassi in F1 su tutte le piste ed in tutte le condizioni sarebbe incrementare il grip (aderenza all'asfalto) meccanico (cioè quello dovuto al lavoro delle ruote, delle sospensioni e del telaio) che facilita i piloti nel controllo della vettura nelle manovre più ardite, e ridurre il grip aerodinamico (quello dovuto alle ali ed al fondo piatto) che  è disturbato dalla vettura che precede. Magari gli sponsor non sarebbero molto contenti di veder tolti quegli enormi cartelloni pubblicitari che sono le ali odierne, ma probabilmente ritroveremo il gusto delle gare di 30 anni fa, dove era determinante il gioco delle scie e l'astuzia e la perizia dei piloti era esaltata ai massimi livelli. Nell'immagine è possibile osservare cosa succedeva alle vetture di Formula1 prive di Ali.

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L'aerodinamica di una monoposto

a1071. Musetto. Il musetto rialzato è un elemento indispensabile. La sua conformazione consente una corretta divisione dell'aria in tre flussi: quello che lambisce la carrozzeria, quello che attraversa le fiancate ed infine il flusso che si incunea nella parte inferiore.

2. Paratie laterali. Poste ai lati della scocca, convogliano l'aria verso le fiancate e al tempo stesso accelerano il flusso che investe la parte esterna dei pontoni laterali.

3. Fiancate. Chiamati anche pontoni laterali. La loro forma varia da una vettura all'altra, anche se oggi i progettisti hanno optato per elementi di media lunghezza, con profilo a freccia. Con l'avvento dei propulsori dell'ultima generazione (che richiedono radiatori di minori dimensioni) gli ingombri delle fiancate sono diminuiti.

4. Rastremazione. Questa particolare conformazione (profilo "Coca-Cola") presenta due vantaggi: migliora il Cx e consente una buona deportanza (spinta negativa verso il basso) in corrispondenza del retrotreno. Ecco perché i progettisti tentano di accentuarla sempre più, anche se talvolta restringere troppo la carrozzeria in corrispondenza del retrotreno significa aumentare le temperature di esercizio all'interno delle fiancate a scapito dell'affidabilità.

5. Protezioni laterali. Introdotte nel 1996 per proteggere i piloti in caso di urto laterale, sono progressivamente rientrate all'interno del disegno della scocca.

6. Presa d'aria motore. Due funzioni: inviare quanta più aria possibile al motore per migliorarne le prestazioni (immissione di aria forzata all'interno del cassonetto di aspirazione è una sorta di sovralimentazione) e ripulire il flusso sull'ala posteriore.

7. Scivolo posteriore. Con l'abolizione delle minigonne e dei profili alari laterali, il condotto Venturi delle F1 è limitato a questo elemento piccolo ma importante. Dalla sua forma dipendono la deportanza sull'asse posteriore e il comportamento dell'auto.

8. Ala posteriore. Sul dritto penalizza le prestazioni velocistiche del mezzo, ma consente di andare molto più veloci in curva poiché assicura una notevole deportanza. Le sue forme e il numero dei profili alari variano a seconda dei circuiti: su quelli veloci si viaggia con poca ala, mentre per le piste medio-lente occorrono profili con una incidenza maggiore.

9. Fondo piatto. Dopo l'abolizione delle minigonne e dei profili alari laterali, nel 1983, per ridurre la deportanza delle vetture, tra i due assi della monoposto è stato imposto il fondo piatto che, a partire dal 1995, è diventato scalinato, presenta cioè un gradino di 5 centimetri al fine di impedire alle monoposto di viaggiare con assetti troppo rigidi e incollate al terreno.

10. Deflettori dietro. Carenano parzialmente le ruote motrici e consentono una migliore estrazione dell'aria calda che esce dalle fiancate.

11. Sospensioni. La ricerca esasperata investe anche il disegno delle sospensioni: triangoli superiori e puntone trasversale carenati. Discorso simile per l'attacco del triangolo inferiore (12) che si collega con una nervatura (detta "coltello"), posta nella parte inferiore della scocca.

 

Muso alto o muso basso?

a109Una delle grandi questioni di fine secolo che hanno animato le menti dei progettisti in F1 è lo "scontro" fra i sostenitori del muso alto, con al primo posto la Ferrari, e quelli del muso basso, con il progettista Mclaren Adrian Newey il primo piano. Ogni soluzione presenta ovviamente sia dei vantaggi che degli svantaggi. Per esempio il muso alto, sviluppato all'estremo nella F1-2000 da Rory Byrne, l'ex progettista Benetton che per primo l'aveva introdotto, permette un maggior afflusso di aria "pulita" nel fondo scocca, favorendo l'effetto Venturi (molto limitato, a causa del fondo scalinato). Per contro un muso più alto alza il baricentro della vettura, sfavorendone le prestazioni (aumentano il beccheggio ed il rollio), cosa che ha cercato di evitare il Adrian Newey nella Mp4/13 del '98, abbassando il musetto di molto rispetto alle vetture dello stesso anno e disegnandolo con una particolare sezione a V in modo da permettere comunque un discreto afflusso d'aria nella parte inferiore della vettura. Nel '98 e '99 ha nettamente prevalso la scelta di Newey, con la duplice vittoria della sua monoposto e la tendenza da parte di molti teams ad adeguarsi al muso basso. La Ferrari, però ha proseguito per la sua strada e quest'anno ha con coraggio ulteriormente sviluppato il muso rialzato e scavato nella parte inferiore, in controtendenza rispetto alle altre squadre, riuscendo ad ottenere un netto salto di prestazioni (naturalmente dovuto anche ad altre componenti).

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Il Cx delle F1 moderne

Chi pensa alle F1 come fossero dei Jet con le ruote si sbaglia. Il coefficiente che quantifica la prestazione aerodinamica, il Cx appunto, è molto alto (cioè indica una prestazione pessima), superiore a quello di una utilitaria, a causa delle ruote scoperte, ma anche delle superfici alari, che si presentano come vere e proprie barriere contro l'aria. Sotto questo aspetto sono eloquenti i 280 Km/h di velocità di punta dell'Hungaroring ed i 360 Km/h di Monza.

 

Le sospensioni dell'Arrows A21

a116In tema di ricerca aerodinamica estrema, che dà un grande peso anche ai dettagli, vale la pena di citare l'Arrows A21 progettata dall'aerodinamico ex Williams Eghbal Hamidy con una soluzione vecchia, ma comunque interessante. Si tratta della sospensione anteriore "pull rod", anziché "push rod", ovvero non c'é più il puntone che preme quando la ruota viene spinta verso l'alto, ma un tirante che svolge la stesa funzione di ammortizzamento appunto in tiraggio. Senza entrare nel dettaglio si può dimostrare come un tirante, a parità di forza, possa essere costruito con un diametro minore rispetto ad un puntone. In sostanza all'Arrows progettarono una sospensione nuova, difficile da metter a punto con il muso semi-basso, solo per guadagnare qualcosa in penetrazione aerodinamica. Che abbiano sbagliato? Le prestazioni, almeno quelle velocistiche, che dimostrarono suggerirono proprio di no (anche se ancora una volta, il complesso delle prestazioni dipese da molti fattori).

 

Ali che si flettono

a118Il caso è scoppiato a Suzuka nel '97 e da allora praticamente non si è più chiuso. Anche solo nelle riprese televisive era evidente la flessione dell'alettone anteriore della Ferrari di Michael Schumacher, flessione che avvicinava le paratie laterali dell'ala al suolo, migliorandone il rendimento (maggior effetto Venturi). Naturalmente l'alettone ritornava in posizione corretta a vettura ferma, consentendo alla monoposto di superare le verifiche post gara. Indiscrezioni parlarono di una soluzione simile, proprio nello stesso GP, anche sull'alettone posteriore della Williams di Jacques Villeneuve. Da allora, con l'aumentare delle prove di nuovi materiali deformabili da parte di molte squadre, sono diventate sempre più frequenti le rotture di ali sia durante i test privati che durante le gare, portando la FIA ad imporre dei test di elasticità delle appendici alari (in precedenza il regolamento diceva soltanto che queste dovevano essere rigidamente collegate al corpo vettura, ma non specificava il coefficiente di elasticità dei materiali di costruzione). Il vantaggio fornito da un'ala deformabile è facilmente intuibile, dato che all'aumentare della velocità la resistenza dell'aria appiattisce l'ala, tendendo a renderla più orizzontale, quindi con una minor resistenza all'avanzamento. La difficoltà da parte della FIA nel l'imporre dei parametri sta però nel fatto che le appendici alari devono avere una certa elasticità, in modo da assorbire le notevoli vibrazioni causate dagli alti regimi del motore, una eccessiva rigidità infatti causerebbe lo spezzarsi dei supporti degli alettoni. Il problema della rigidità delle appendici alari è decisamente complesso e rappresenterà probabilmente uno degli sviluppi futuri della ricerca aerodinamica, che oggi si avvale di potenti software di cam-cad e simulazione, prospettando un futuro nel quale le gallerie del vento saranno sostituite da potenti calcolatori. 

 

Termini tecnici

Aerodinamica

a120La scienza che studia il movimento di un oggetto nell’aria. Per le automobili il parametro più noto è il Cx*, ossia il coefficiente di penetrazione aerodinamica. La resistenza dell’aria che si oppone al movimento della vettura ("drag" ininglese) è proporzionale al prodotto fra la superficie frontale della carrozzeria e il Cx. L’aerodinamica assume grande importanza man mano che la velocità aumenta, mentre nell’utilizzo cittadino della vettura è un fattore meno importante. Le vetture moderne hanno Cx dell’ordine di 0,3 e la loro resistenzaall’avanzamento è dovuta al 50% da quella aerodinamica a velocità attorno ai120 km/h. Fisicamente, se l’aria non avesse moti turbolenti ma seguisse omogeneamente la carrozzeria, la spinta davanti e quella dietro al veicolo si equivarrebbero e quindi non si avrebbe una resistenza all’avanzamento. Tuttavia invece esistono problemi di attrito sulla superficie e ciò altera le condizioni dietro il veicolo dove il flusso non segue più la carrozzeria facendo così mancare la controspinta. La pressione dietro è allora inferiore a quella davanti e ciò genera la resistenza. Sperimentalmente la resistenza dell’aria equivale a una forza che, in assenza di vento, corrisponde alla seguente formula:

F = K Cx S v2
S = superficie frontale
v = velocità di avanzamento del veicolo K = costante di proporzionalità
Cx = coefficiente di penetrazione aerodinamica

Durante la marcia si sviluppano sul veicolo anche forze verticali e laterali, sempre proporzionali al quadrato della velocità di avanzamento o di quella del vento in caso di forze laterali. La formula resta la stessa dove al posto di Cx c’è Cz (per la forza di sollevamento) e Cy per quella laterale. Cy varia a seconda della direzione laterale del vento.

Aria

L’aria è un composto di numerosi gas e mediamente, quando è secca, ha la seguente composizione a 1 bar e 0°C: Azoto (1,234 kg/m3 ) 78% in volume 76% in peso Ossigeno (1,4) 21 23 Argon (1,8) 0,9 1 Anidride carbonica (2 ) 0,03 0,05 Idrogeno, Neon, Elio, Cripto, Xeno tracce L’aria secca ha una densità di 1,28 kg/m3 e obbedisce abbastanza fedelmente alla legge dei gas perfetti (Boyle e Charles) PV = kRT dove P = pressione assoluta V = volume in m3 k = massa del gas in kg R = costante del gas T = temperatura assoluta in gradi kelvin. La molecola è la più piccola parte di gas che ha le stesse caratteristiche generali del gas (lo stesso vale per qualsiasi altra materia). Un’importante proprietà è che una molecola di qualsiasi gas a certe condizioni di temperatura e pressione ha un determinato volume (il volume molecolare è lo stesso per tutti i gas), il che è come dire che volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione hanno un peso proporzionale al peso molecolare (somma dei pesi atomici): volumi uguali di gas diversi,nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, contengono ugual numero di chilomoli. In particolare a 1 bar e 0°C in un volume di 22,69 m3 è contenuta una chilomolecola di qualsiasi gas, cioè il gas pesa 1000 volte il peso molecolare. I cicli teorici dei motori a combustione interna sono studiati, in prima approssimazione, come se il fluido agente fosse aria secca. Cx (Cw, Cd drag coefficient) Coefficiente di penetrazione aerodinamica*. A parità di superficie frontale, quanto più esso è elevato, tanto maggiore, in proporzione diretta, è la potenza necessaria per mantenere una certa velocità. Il Cx di un oggetto a forma di cubo è pari a 1, più del triplo di quello di una moderna berlina che è attorno a 0,3 (nel 1920 era 0,8 e nel 1970 era 0,4).

Deportanza

E’ la forza aerodinamica* che spinge il veicolo verso il suolo aumentandone l’aderenza e la stabilità. Il carico verticale provocato dagli alettoni di una "formula 1" alla massima velocità può equivalere al triplo del peso della vettura.

Imbardata

Rotazione della vettura attorno a un asse verticale passante per il baricentro. E’ determinata dalle forze centrifughe che nascono in curva e dalle diverse condizioni di aderenza fra avantreno e retrotreno.

Portanza

E’ la forza verticale generata dal movimento dell’aria che tende a sollevare la vettura peggiorandone la tenuta di strada alle alte velocità. Si tende ad annullarla con un’opportuna configurazione aerodinamica e facendo anche ricorso ad appositi profili aggiunti alla carrozzeria (spoiler e alettoni). E’ il fenomeno opposto alla deportanza. Superficie (sezione) frontale. E’ il valore dell’area, misurata in m2, dell’ingombro frontale del veicolo. Cioè l’area che occupa la sagoma del veicolo visto frontalmente, anche se gli elementi del contorno non sono tutti sullo stesso piano. Tale valore è determinante per conoscere la resistenza aerodinamica, che gli è direttamente proporzionale. I valori minimi sono attorno a 0,5 m^2 (VW "Lupo" S = 0,62 m^2).

 

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